San Francesco di Paola

L’occasione del ricordo della canonizzazione di San Francesco di Paola ci ha portati qui per rendere gloria a Dio, sorgente della santità, e per imparare ancora una volta il mistero della testimonianza evangelica che il nostro grande patrono ci ha regalato. La testimonianza dei santi e la loro intercessione rappresentano per noi, pellegrini sulla terra, un segno di sicura speranza, come ci ricorda una preghiera liturgica: “Verso la patria comune noi, pellegrini sulla terra, affrettiamo nella speranza il nostro cammino, lieti per la sorte gloriosa di questi membri eletti della Chiesa, che ci hai dato come amici e modelli di vita.” Ed è per questo che noi vogliamo presentare al nostro grande intercessore le nostre richieste e i nostri bisogni, come si fa con gli amici veri, a cui si può dire tutto e a cui si può chiedere tutto; ognuno di noi è qui con la sua storia passata e recente, ognuno di noi è qui con i doni di natura e di grazia che il Signore ci ha regalato, ma anche con i suoi problemi, le pesantezze della vita, gli episodi tristi che hanno lasciato una ferita aperta nel cuore. Penso in questo momento alla comunità dei Padri Minimi che ha perduto improvvisamente l’altro ieri un giovane membro della comunità, padre Giovanni, di soli quarant’anni. Non possiamo non sentire pesante l’ipoteca che questo evento ha messo sul nostro, e ci rivolgiamo a San Francesco per chiedergli di esserci amico, compagno di strada in questo momento di dolore, di smarrimento, di tristezza. Vogliamo anche chiedergli di sostenerci con la sua preghiera, di intercedere presso il Padre celeste la grazia della fede che lui ha saputo vivere in maniera radicale ed eroica. Il testo liturgico ci ricorda però che i santi non sono solo amici, ma anche modelli di vita; guardiamo ad un modello perché vogliamo riprodurlo in qualche maniera, nella nostra vita e non solo per ammirarne l’armonia delle dimensioni. Abbiamo sempre bisogno di compiere questa operazione che ci porta dalla contemplazione e dall’ammirazione per un santo, allo sforzo per imitarlo, ben consapevoli che i santi hanno vissuto tempi storici differenti dai nostri. Questo richiede che noi ci sforziamo di imitarli non perché facciamo come loro, ma perché impariamo a leggere la storia con gli stessi occhi con cui l’hanno guardata loro: non imitare facendo quello che hanno fatto, ma imitare guardando dove loro hanno guardato, assumendo uno sguardo nuovo, quello che il Signore regala, attraverso il suo Spirito, ai redenti dalla grazia battesimale. 

Con questo spirito leggiamo il testo del Vangelo appena proclamato e troviamo la sorgente a cui anche Francesco di Paola si è abbeverato con abbondanza, il cuore stesso di Gesù, mite ed umile, causa e origine di ogni bene. L’affermazione di Gesù è contenuta all’interno di una preghiera di lode pronunciata da Gesù e registrata fedelmente dall’evangelista Matteo. E’ singolare che anche se conosciamo il fatto che Gesù pregava abitualmente, raramente possiamo aver accesso al contenuto delle sue preghiere; qui, invece, conosciamo la preghiera di lode che eleva al Padre (“Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra”), una preghiera con cui si fa conoscere come interlocutore privilegiato di Dio (“nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio”), una preghiera a cui viene aggiunto un invito: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. E’ importante la collocazione di questo invito perché ci fa capire che l’opportunità di dare ristoro agli altri è direttamente proporzionale alla conoscenza di Dio e alla relazione con lui. Non è infrequente che la nostra disponibilità nei confronti degli altri ci porti a presumere di essere migliori, di fare o di avere qualcosa in più rispetto agli altri, di sentirci in qualche maniera i ricchi che nella loro sovrabbondanza elemosinano con atteggiamento di superba sufficienza qualcosa ai poveri… La verità che Gesù ci insegna è invece fare contatto con quello che siamo, con la nostra storia, con le ricchezze che ci caratterizzano, tutte dono di Dio, e con le povertà che contraddistinguono la nostra esistenza, tutte opera delle nostre scelte. Ci ricorda l’Apostolo Paolo (1 Cor 4, 7): “chi ti distingue dagli altri? E che hai tu che non l’abbia ricevuto? E se pur l’hai ricevuto, perché ti glorî come se tu non l’avessi ricevuto?” Proprio per questo Gesù si offre come modello, come umile di cuore. Offrire ristoro agli altri significa riconoscere pregiudizialmente chi siamo, pieni di bene perché ricevuto dalla Grazia di Dio e non perché ne siamo capaci da soli. Ecco allora che si eleva, pura come acqua cristallina la testimonianza del nostro patrono, riempito della Grazia di Dio, e convinto di non esserne mai sufficientemente degno. E’ lui che ci rimanda costantemente all’esempio fulgido di Gesù, come quando scrive: “Pensate quanto infinito fu quell’ardore che discese dal cielo sulla terra per salvarci; per noi subì tanti tormenti e patì la fame, il freddo, la sete il caldo e ogni umana sofferenza, nulla rifiutando per amor nostro e dando esempio di perfetta pazienza e di perfetto amore, cosicché anche noi vogliamo avere pazienza in tutte le nostre avversità e le possiamo sopportare per amore, pensando che Gesù Cristo, nostro Signore, nell’avere affanni e tribolazioni soffrì per molti altri”… e in un’altra pagina dei suoi scritti aggiunge: “I lettori ordinari, memori del nome Minimo con il quale comunemente si chiamano, non si insuperbiscano ma occupino umilmente il posto della loro umile professione. Similmente si comportino i letterati che da qualsiasi parte vengano a quest’ordine dei Minimi, per quanto dotti essi siano; e una volta accolti in quest’Ordine e già professi occuperanno sempre il posto della loro accettazione. A nessuno, anche se di grandissimo ingegno torni spiacevole starsene così, dal momento che il Re della gloria in tal modo si abbassò umilmente fino alla polvere per noi vermiciattoli” (Correttorio dell’Ordine, cap. IX).

Guardare a Gesù, mite e umile di cuore, guardare a Francesco che di questo invito fa una norma per sé e per i fratelli del suo ordine, è quanto raccogliamo come esortazione in questo giorno in cui facciamo memoria della santità come vocazione per tutti i cristiani e come vocazione che Francesco ha accolto e fatto sua. Ci ricorda papa Francesco: “La santità non è un programma di sforzi e di rinunce, non è una ginnastica spirituale, è anzitutto l’esperienza di essere amati da Dio, di ricevere gratuitamente il suo amore, la sua misericordia. Questo dono divino ci apre alla riconoscenza e ci consente di fare esperienza di una gioia grande, che non è l’emozione di un istante o un semplice ottimismo umano, ma la certezza di poter affrontare tutto con la grazia e l’audacia che provengono da Dio”. Vogliamo chiedere al Santo Paolano di chiedere per noi a Dio il dono della fede semplice, che ci permetta di essere risorsa come credenti per i tanti smarriti del nostro tempo vivendo in prima persona la nostra relazione con il Signore, mite ed umile di cuore, con quella fedeltà e radicalità che hanno caratterizzato la sua vita. 

 

+ Giovanni Checchinato

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