La pagina del vangelo che abbiamo ascoltato ci dà la possibilità di mettere a fuoco il titolo della solennità che stiamo celebrando e con cui concludiamo l’anno liturgico, quella di Cristo Re dell’universo. Una solennità che ci parla di un titolo, quello di re, che è andato progressivamente sullo sfondo del nostro sentire comune, ma che ci ricorda qualcosa che è invece molto presente nel cuore delle donne e degli uomini di ogni tempo, il potere. Potere è la capacità di essere liberi di muoversi autonomamente fra dipendenza e autonomia, nella danza sapiente fra il polo dell’esercitare potere e nell’accogliere il potere degli altri che ha come risultante finale il benessere delle relazioni. Ognuno di noi sperimenta il potere in ciò che fa, in ciò che afferma e sceglie, nel controllo che esercita negli altri o nella libertà che riconosce loro, accogliendo e gioendo delle scelte libere, perché ha sperimentato per primo la bellezza della libertà. Il modo con cui esercitiamo il potere sugli altri dice molto di noi e della nostra identità più profonda. Cosa vogliamo fare della nostra vita, cosa vogliamo fare della relazione con gli altri, cosa vogliamo “potere” nei loro confronti, cosa permettiamo che gli altri “possano” fare; cosa riconosciamo responsabilmente di aver scelto e cosa ipocritamente attribuiamo agli altri… Pilato e Gesù, messi l’uno di fronte all’altro sono segni eloquenti di modalità differenti di gestire il potere, di raggiungere il bene, di promuovere la vita. Pilato cerca di salvare se stesso, la sua credibilità di fronte alla gente e ai suoi superiori e per fare questo si defila dalla responsabilità delle azioni che compie: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me.” È lo stile di chi è entrato nella tentazione di non assumere il potere che la sua responsabilità di uomo gli chiede e delega qualcun altro al posto suo. Come giocosamente recita una legge di Murphy: errare è umano, ma dare la colpa a qualcun altro ancora di più… Non ha nessuna intenzione di coinvolgersi sul serio perché tutta la sua vita è diventata un gioco che pratica sempre e solo a spese degli altri. Quanto ci vinco e quanto ci perdo. Purché mi salvi io può andare bene tutto. Posso dire bianco ciò che è nero e nero ciò che è bianco. Il potere vissuto solo come mezzo per l’ autodifesa si trasforma piano piano in un gioco pericoloso di parole che assumono significati differenti, cangianti secondo le necessità, parole che deformano la realtà e la rendono inconoscibile. Del resto Pilato viene smascherato nel suo parlare a Gesù quando gli chiede: “che cosa è la verità?”. Chi pensa a usare il potere solo per salvare se stesso si trova progressivamente in un vortice di menzogna che non gli permette più di fissare degli orientamenti spazio temporali della vita, della storia. Con persone del genere sentiamo disagio, e siamo portati o a diventarne complici o ad allontanarcene. Che differenza invece lo stile di Gesù nelle sue relazioni e davanti a Pilato! È lo stile di chi parla nella verità e senza infingimenti rispetto alla sua identità. Gesù è re, e lo dice a chiare lettere a chi glielo chiede con sarcasmo cattivo. Non si nasconde dietro a quello che gli altri dicono o possono aver detto. Gesù ha una piena coscienza della sua identità e del potere che il Padre ha messo nelle sue mani. Così come quando aveva lavato i piedi ai suoi apostoli, Gesù sapeva benissimo ciò che sta per fare pur conservando la sua piena autocoscienza; ce lo rivela lo stesso evangelista quando introduce il brano: “Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.” Il potere viene a Gesù dalla sua autocoscienza di uomo, ma proviene ancora di più dalla sua relazione con il Padre che un giorno -nello Spirito- gli ha detto: “Tu sei mio Figlio, mi piaci così come sei”. Una relazione forte, che rassicura la nostra identità e il potere presente in noi e che ci permette di esporci senza finzione davanti agli altri, ci permette di chiamare le cose con il loro nome, ci permette di coinvolgerci nella storia, scoprendola come dono di Dio, luogo dove Lui continua a rivelarsi. Non sfugge alla lettura attenta dei Vangeli come Gesù è capace di gustare la natura nel silenzio dove si rifugia per pregare, di esaltarne i colori, di rallegrarsi per i gigli del campo e gli uccelli del cielo, così come è capace di stupirsi di fronte alla donna pagana che gli chiede di guarire la figlia, di commuoversi per la tenerezza della vedova povera che dona tutto quanto ha per vivere al tesoro del tempio, di piangere per la durezza di coloro che non vogliono vedere l’imminenza del giudizio su Gerusalemme. Gesù sa sperimentare intensamente ed esprimere coerentemente, sia il sentimento sublime che rallegra il cuore che l’indignazione per il sovvertimento della legge di Dio che viene praticata dagli osservanti del tempo e per l’ingiustizia manifesta che attuano. E proprio perché è davvero libero che è capace di esprimere il potere in maniera conveniente. Non è legato a convenienze, a calcoli umani, a strategie di potere da cui si sente necessitato, ma libero di essere se stesso, e per questo con un potere infinito. Davanti a Gesù la gente si sente accolta, apprezzata, capita; anche quando Gesù esprime una valutazione pesante sulla vita dissonante dal Vangelo del suo interlocutore, è capace di farlo con amabilità, sollecitando la piena apertura d’animo dell’altro. Ecco perché è libero di offrire la sua vita per gli altri: ed è quello che fa davanti a Pilato, quando sceglie di non rispondergli più, ed è quando accetta la barbarie della flagellazione sulle spalle su cui poi accoglierà anche la croce, ed è quando dalla croce offrirà non solo la preghiera per il perdono dei suoi crocifissori ma anche la richiesta della loro giustificazione. Gesù ci mostra come possiamo essere davvero grandi quando usiamo il potere di far diventare la nostra vita dono d’amore per gli altri, e Pilato ci mostra -di converso- quanto possiamo essere piccoli e meschini quando usiamo il potere per servircene a nostro vantaggio, per tutelare i nostri interessi, le nostre economie, i nostri bisogni di primeggiare, di emergere, di controllare e invadere le vite altrui.
Carissimi Caio e Jonathan la liturgia di questa domenica ci ha regalato questo brano del Vangelo che riguarda evidentemente tutti noi qui riuniti. Ma certamente l’immagine di Gesù Re si presta particolarmente ad essere modello per chi, nella Chiesa, assume un ministero che gli chiede di esercitare anche un potere. Il vostro servizio sacerdotale sia sempre vissuto a immagine di Gesù che si è fatto nostro fratello e compagno di viaggio, che “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.” Capace di potere perché capace di essere se stesso, uomo fino in fondo, consapevole della relazione col Padre dei cieli vissuta nella radicalità di pensieri, parole ed azioni, totalmente sbilanciato nell’annuncio del Regno e pronto a dare la vita perché venga in pienezza. Sia questo anche il progetto della vostra vita presbiterale: capaci di esser voi stessi per quel prodigio di grazia che è la vita umana, sempre dono immenso di Dio, capaci di fede grazie alla relazione sempre più intensa e profonda con il Padre dei cieli, che vi ha chiamati alla radicalità del servizio dell’annuncio e della Verità evangelica, e pronti a esercitare il potere dell’amore che si fa dono per gli altri fino al martirio. A tutti i presenti, ma in modo speciale a voi auguro buon cammino!