Natività di Maria

Capita nei paesi più che nelle città, lì dove tutti si conoscono bene o male, che qualche adulto incontrando un giovane gli chieda: “a chi sei figlio?” … E forse anche noi ci siamo divertiti, da bambini o ragazzi, a sentire aneddoti e storie riguardanti nonni, bisnonni e trisavoli che ci venivamo comunicati dagli zii sempre informati dei fatti familiari, capaci di riferire dati circostanziati e puntuali su questo o quel personaggio. La prima ragione di questa festa si trova proprio in questo contesto, quello di chi vuol sapere qualcosa di più su Gesù, reale protagonista della storia della salvezza, e proprio per questo allarga il suo raggio di interesse verso ogni connessione che ha a che fare con Gesù. La festa della natività di Maria prende origine dalla tradizione non canonica del Protovangelo di Giacomo che offre i nomi dei genitori di Maria, Gioacchino ed Anna, ed è legata alla dedicazione della Basilica di Sant’Anna, dopo la sua edificazione a Gerusalemme nel V° secolo. Ci possiamo chiedere se davvero l’evangelista Matteo fosse interessato a logiche appena accennate quando ha scelto di trascrivere questa pagina piena di nomi che mettono in imbarazzo il malcapitato lettore e fanno fare qualche sbadiglio all’ascoltatore. Forse un po’ si, ma il motivo prevalente a mio avviso è quello di voler offrire ai suoi lettori un dato oggettivo della incarnazione del Signore. E siccome Gesù è nato come tutti i bambini (fatta salva la modalità eccezionale del concepimento di Maria), ci voleva rassicurare che la sua famiglia umana era proprio una famiglia come tutte, con padri e madri, nonni e nonne, zii e nipoti… Il rischio di trasformare l’evento Gesù in un mito è stato presente nella storia della chiesa, fin dal suo inizio. E quanto più si separa la sua umanità dalla sua divinità tanto più questo rischio si corre. Stessa sorte tocca a Maria, quanto più sottolineiamo la sua eccezionalità, tanto più rischiamo di perdere la dimensione umana della madre di Gesù. Un canto che si sente risuonare nelle nostre chiese definisce Maria “irraggiungibile”: ma come possiamo seguire come credenti le tracce lasciate da lei, la prima delle seguaci del figlio se è irraggiungibile? Scriveva Chiara Lubich: “Maria è troppo semplice e troppo vicina a noi, per esser «contemplata». Ella è «cantata» da cuori puri e innamorati che esprimono così quello che di meglio è in loro. Porta il divino in terra soavemente come un celeste piano inclinato che dall’altezza vertiginosa dei Cieli scende alla infinita piccolezza delle creature. È la Mamma di tutti e d’ognuno, che sola sa balbettare e sorridere al suo bimbo in una maniera unica e tale che, pur piccolo, ognuno sa già godere di quella carezza e rispondere col suo amore a quell’amore.” Proprio per questo motivo la chiesa ci fa celebrare il suo concepimento, la sua nascita, come eventi che appartengono a questa nostra storia, e non sono solo dei bei racconti che riguardano lei e nessun altro. Ci dice il Concilio: “Maria è anche riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa, figura ed eccellentissimo modello per essa nella fede e nella carità; e la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima.” 

Un altro motivo che ci porta a leggere il brano di Matteo nel giorno della natività di Maria, è che noi non abbiamo una genealogia di Maria. Sappiamo che Maria era di Nazareth e di questo villaggio della Galilea non si fa cenno neanche una volta nell’Antico Testamento. Ma Matteo sceglie di farci conoscere i parenti di Gesù da parte della famiglia di Giuseppe perché di fatto Maria, con il matrimonio con Giuseppe ne entra a far parte. È la famiglia di Maria e Giuseppe, è la famiglia di Gesù, ci sono i suoi nonni e bisnonni e magari ci aspetteremmo di trovare qualche personaggio illustre che possa farci dire: certamente da quella famiglia non poteva nascere che un campione come Gesù. E invece veniamo a scoprire che nella famiglia allargata del Signore c’erano personaggi di discutibile reputazione. E fra questi vengono citate ben quattro donne, cinque con Maria, che non hanno proprio brillato di “santità” secondo la tradizione ebraica. E accanto a Tamar, Racab, Rut, Betsabea tanti uomini che si sono macchiati di nefandezze e violenze. Ancora una volta siamo invitati a prendere sul serio le parole dell’evangelista Giovanni quando ci dice “Il Verbo si è fatto carne”; l’evangelista non vuole fare poesia, ma ci vuole indicare che il mistero della incarnazione è davvero avvenuto, ed è al centro della nostra fede. Che Maria è nata da genitori ed ha vissuto come donna nella nostra storia, anzi, prima ancora che nella nostra, nella storia della sua famiglia e della famiglia di Giuseppe, storia ricca di gloria, ma anche di peccato e di miseria umana. Ed è così che celebrare il mistero della nascita di Maria ci permette in qualche maniera di assaporare il bene della redenzione che si rende percepibile in anticipo nella storia di Maria; proprio come possiamo pregustare il bene e il bello di un buon giorno solo guardando all’alba del nuovo mattino che si riempie di colori preannunciando il sole nascente. Proprio guardare alla nascita di Maria ci permette di prepararci ancora di più e meglio alla nascita di Gesù. E’ quanto provava a suggerirci don Tonino Bello con una sua preghiera: 

“Santa Maria, donna feriale, aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all’interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell’arte. Ma è quello che ti colloca all’interno della casa di Nazaret, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua naturale femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni. Santa Maria, donna feriale, liberaci dalle nostalgie dell’epopea, e insegnaci a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza. Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l’abbandono alla volontà di Dio nelle pieghe prosaiche del tempo e nelle agonie lente delle ore. E torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria innamorata di normalità, che prima di essere incoronata Regina del cielo hai ingoiato la polvere della nostra povera terra.”

 

+ Giovanni Checchinato

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