Messa Crismale

Ringraziamo con gioia il Signore per questa celebrazione, legata all’arcano simbolo dell’olio, elemento naturale a cui siamo particolarmente legati come gente dell’area mediterranea, e cantato più volte dalla Sacra Scrittura. Ringraziamo il Signore perché questo elemento ci riporta a Gesù, il Messia, Colui che è Unto per eccellenza: l’olio dunque che portiamo all’altare e che benediciamo ci parla di Gesù, del suo mistero di salvezza di cui siamo beneficiari, e ci parla anche di noi, chiamati a condividere i benefici di questo olio con il nostro prossimo a motivo del battesimo, che ci ha resi sacerdoti, re e profeti e, per i sacerdoti, anche a motivo della consacrazione ricevuta il giorno della ordinazione presbiterale. È l’olio con la sua eloquenza che ci abilita a ricercare le dimensioni più recondite del suo significato, ma è anche la nostra fede che ci spinge a leggere sensi spirituali ed ecclesiali nella triplice benedizione dell’olio dei catecumeni, degli infermi e del crisma.

L’olio dei catecumeni rimanda al rito del battesimo in cui è utilizzato: nel rito del battesimo per i bambini il rito dice: “umilmente ti preghiamo per questo bambino, che fra le seduzioni del mondo dovrà lottare contro lo spirito del male”, mentre per gli adulti dice: “benedici quest’olio del quale hai voluto fare un segno della tua forza divina, e ai catecumeni che ne riceveranno l’unzione concedi forza e vigore”. È una unzione che dunque ci rimanda al dono della fortezza contro lo spirito del male e alla dimensione della lotta come esercizio ascetico da compiere, in questo cammino che ci porta dalla terra al cielo. E la prima dimensione che raccogliamo proviene proprio da quanto Gesù ha fatto per noi nel suo percorso terreno: la lotta contro il male, in ogni sua forma e dimensione, espressione visibile di una realtà ben più potente, personale e particolarmente attiva dove il bene si stanzia con la sua inconfondibile pace. Gesù è in lotta perenne contro il male, quello fisico, quello psicologico, quello spirituale, quello morale, quello legato a strutture di peccato, quello che cambia il senso delle parole e chiama bene ciò che bene non è, quello legato al pensiero mondano… per questa lotta contro il male Gesù ha pagato di persona, come ci raccontano i testi evangelici, fin dall’inizio della sua predicazione. E se sinteticamente le tentazioni di Gesù sono state raccolte dagli evangelisti all’inizio dei vangeli sinottici, in realtà esse sono spalmate sull’intero racconto evangelico e ci raccontano la lotta e la fortezza con cui Gesù si è opposto al male. Conosciamo bene l’origine di questa capacità che si trova nella relazione quotidiana e profonda con il Padre: la consapevolezza del suo Amore lo rende forte e gli permette di affrontare ogni esperienza di male, anche la più cattiva e volgare, anche la più subdola. Come cristiani e come sacerdoti non abbiamo perso la nostra unzione catecumenale e lo spirito di fortezza ci accompagna e ci rende forti nella lotta contro il male; ma siamo sempre pronti a metterci in gioco? Non siamo anche noi talvolta tentati dalla operazione della “rimozione” del male, facendo finta di non vederlo, o venendo a patti con le sue espressioni minimali -che non ci sembrano così gravi- rimanendone invischiati, o addirittura chiamando il male bene? L’Unto per eccellenza effonda l’olio dei catecumeni sulle nostre lotte interiori e ci faccia testimoni di bene non solo a parole, ma anche nei fatti e nella verità.

L’olio degli infermi viene benedetto con una formula che ci ricorda gli effetti della unzione: “quanti riceveranno l’unzione ottengano conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e siano liberati da ogni malattia, angoscia e dolore”. È un olio che opera la liberazione dalla malattia, dalla angoscia e dal dolore e questa determinazione così chiara dovrebbe spingere la riflessione e le successive scelte pastorali un po’ oltre rispetto alla determinazione del passato che ha relegato l’unzione di questo olio agli estremi momenti di vita terrena di un credente, a tal punto da essere chiamato “estrema unzione”. Gesù ha esercitato il ministero della liberazione dalla malattia, dall’angoscia e dal dolore in maniera continua nella sua esistenza facendosi prossimo ai malati nel corpo, ma anche ai malati dell’anima e dello spirito, a coloro che erano turbati e angosciati dalle difficoltà presenti offrendo loro un orizzonte di senso, quando nella sua libertà di Figlio di Dio stabiliva di non poter dare risposte immediate ai bisogni “apparentemente” urgenti dei suoi interlocutori. E per fare questa operazione non ha scelto la strada del “superuomo” dispensatore di risposte e di grazie a chi -implorante- ai suoi piedi gli dice: se mi vuoi bene, devi fare quello che ti chiedo (espressione tanto simile a quella del Demonio nei racconti delle tentazioni), ma sceglie di farsi accanto, compagno di strada. La liberazione come condivisione di un processo, di un percorso mai facile, mai scontato che non rende passivo l’altro, relegandolo nella posizione di chi attende da altri la salvezza, ma la condivisione che promuove l’altro e le sue risorse gioendo del bene che l’altro sa compiere con quelle risorse che pensava di non avere e che la “compagnia” gli ha fatto ritrovare. Siamo capaci di assumere questo atteggiamento o l’essere ritenuti “competenti” dagli altri ci ha messi in una posizione più alta nei loro confronti? Ci può capitare, infatti di essere pronti a dare consigli ma poco disposti ad ascoltare, sempre disponibili a fare il bene ma resistenti ad accoglierlo, attivi nell’essere salvatori degli altri ma pronti a fare le vittime quando abbiamo dato qualcosa e non abbiamo ricevuto il contraccambio. Che Gesù, ministro della liberazione per eccellenza ci aiuti ad essere capaci di liberazione come lui, mettendoci affianco, accogliendo ed ascoltando per dare lode al Padre che ha “fatto bene tutte le cose”.

Il Crisma ci riporta alla consacrazione del nostro essere, come recita la formula: “Questa unzione li penetri e li santifichi, perché liberi dalla nativa corruzione, e consacrati tempio della tua gloria, spandano il profumo di una vita santa”. Si riferisce prima di tutto all’Unto per eccellenza, al Signore Gesù, ma anche ad ogni battezzato, inserito col battesimo in Cristo sacerdote, re e profeta e in maniera speciale ad ogni sacerdote chiamato ad essere all’interno della assemblea cristiana il segno di Cristo capo. La consacrazione è la scelta di totale offerta di sé a Dio per il bene del Regno che viene e Gesù parla di questa sua consacrazione nella cosiddetta “preghiera sacerdotale” quando afferma: “per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella Verità” (Gv 17,19). E la sua consacrazione si è rivelata nel suo essere sempre sbilanciato nel servizio della Verità che non è una semplice operazione intellettuale, una “adaequatio intellectus et rei” come diceva san Tommaso, ma è una realtà personale, Dio stesso che è in se stesso amore infinito. E come collaboratore di questa Verità ha vissuto la vita in modo sbilanciato rispetto ai suoi bisogni ed attese, ma facendosi prossimo di ognuno, secondo le necessità e le capacità di ognuno. È dunque il consacrato che si realizza nascondendosi nella storia come lievito per far fermentare la pasta, il consacrato che adora il Padre in Spirito e verità offrendo il suo cuore e il suo corpo come sacrificio santo e gradito a Dio, il consacrato che ama i suoi, li ama fino alla fine. Nessuno sconto, nessun privilegio, nessuna corsia preferenziale: la consacrazione è la scelta di ripetere con la propria vita le parole del Salmo 40: “sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: Ecco, io vengo”. E quanto Gesù, l’Unto per eccellenza ha realizzato con la sua vita, diventa modello su cui costruire la nostra. E di fronte alla benedizione dell’olio del crisma che ha coperto il nostro capo il giorno del battesimo, la nostra fronte il giorno della cresima, le nostre mani il giorno dell’ordinazione sacerdotale domandiamoci con onestà se davvero la nostra vita è, a somiglianza di quella di Gesù, una vita totalmente offerta a Lui per l’avvento del Regno di Dio, senza tornaconto, senza rivendicazioni di ogni genere, vissuta nell’obbedienza fino alla morte e alla morte di croce. E se così non fosse, approfittiamo di questa celebrazione per chiederlo come grazia al Signore, al Cristo a cui sia lode nei secoli dei secoli. Amen

 

+ Giovanni Checchinato

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