Tempo di essenzialità e di verità

Mercoledì delle Ceneri

Stiamo vivendo l’inizio della Quaresima attraverso il digiuno e la preghiera; e l’imposizione delle ceneri che seguirà l’Omelia, vuole essere l’invito simbolico a fare i conti con la nostra dimensione fragile, il nostro essere terra, ma è anche un invito a credere al Vangelo mettendoci in atteggiamento di conversione. Forse sentiamo la pesantezza del nostro passo nel percorso verso il Signore e per questo, come le folle del Vangelo che sono stanche e sfinite, ma che si fidano del Signore, gustiamo la generosità di Gesù che ci offre il pane della sua Parola e il nutrimento dell’Eucaristia. 

Se leggiamo il tempo della quaresima come un tempo di essenzialità e di verità possiamo davvero approfittare per “mettere ordine” nella nostra vita, provando a dare il giusto valore a cose e a persone, al nostro relazionarci, al nostro aver cura di una vocazione, quella cristiana, che non permette intermittenze, ma esige di prendere posizione nei confronti del Signore e della nostra fede in lui: essenzialità e verità! Proviamo a coniugare questo binomio con la relazione più importante che è quella col Signore: senza questa rischiamo di perdere la percezione di tutte le nostre dimensioni. Senza una autentica relazione con Dio, infatti, ci troviamo a fare i conti con una percezione del nostro io esageratamente grande o incredibilmente piccola; se il nostro punto di partenza è distorto da questo pregiudizio non facciamo vera esperienza di Dio, ma proiettiamo su di lui le nostre smanie di grandezza o le nostre inconsistenze umane trasformandolo in un inutile fantoccio o in un crudele despota. Ma la Rivelazione ci dice che lui non è né l’uno né l’altro: è prima di tutto Dio, cioè totalmente diverso da noi, tre volte santo, nei confronti del quale dobbiamo venerazione e rispetto. Mettere ordine nella nostra vita significa saper abbandonare immagini inadeguate di Dio e riconoscere le giuste distanze fra noi e Lui. Distanza che non significa distacco affettivo, ma riconoscimento dell’Alterità, bisogno di confini, definizione di sé nei confronti degli altri e viceversa. In una maniera che può sembrare paradossale, dobbiamo anche affermare che il Totalmente Altro da noi è anche colui che è più vicino a noi di quanto noi siamo a noi stessi (intimior intimo meo S. Aug.): solo nella misura in cui sono capace di cogliere Dio nella sua verità so sentire il dono che mi fa quando parla al mio cuore con dolci parole, quando mi stimola a crescere e a superare i sensi di colpa che mi rodono il cuore per i miei peccati; e anche quando non mi parla e mi fa aspettare tempi più o meno lunghi, permettendo alla desolazione di allignare come erbaccia nella mia anima… continua ad essere “intimior intimo meo”.  Se è vero che generazioni del passato hanno vissuto con lo spettro di un Dio spione e vendicativo, è pur vero che oggi rischiamo di trasformare Dio in un “vapore” che assume i colori della nostra umoralità, una entità così debole e fragile che non riesce a “reggere” al confronto delle vicissitudini umane a cui siamo sottoposti quotidianamente. Mettere ordine significa riconoscere Dio come Dio e distinguerlo dalle cose che lo riguardano. Non buttiamo alle ortiche la morale o la devozione, ma abbiamo bisogno di riconoscere ad esse il giusto posto, sistemandole fra le risposte possibili ad una chiamata, quella alla vita cristiana, che ha bisogno di esprimersi anche attraverso strumenti umani, quali i gesti esterni. Ma è così fuori luogo farsi oggi la domanda: Chi è Dio? Forse no, se sant’Ignazio la propone come condizione ad ogni singolo esercizio di preghiera. Il Signore oggi ci rivolge la stessa domanda che ha rivolto a Pietro e agli Apostoli: Ma tu chi dici che io sia? Dare una risposta piuttosto che un’altra può cambiare decisamente la mia prospettiva di fede e di vita. 

Se è vero che mettere ordine nella propria vita significa ridefinire la propria visione di Dio e confrontarla con la Rivelazione, può essere utile mettere sotto il riflettore i gesti e le motivazioni che portiamo con noi nell’intraprendere “un cammino di vera conversione”.  A cosa servono il digiuno, la penitenza, l’elemosina che sono citate dal Vangelo di oggi? A convertirci, viene da rispondere. Forse, però, non siamo così lontani dal pensare che mettendo in atto queste attività (chi in una maniera e chi in un’altra) possiamo guadagnare dei punti con cui riempire la scheda della santità da presentare a qualche esercente di “gratta e vinci” per riscuotere un premio. In questa maniera, se abbiamo fatto tanto digiuno e abbiamo detto tante preghiere e abbiamo anche fatto qualche elemosina abbiamo la scheda piena di punti e possiamo vincere il premio della Pasqua, il perdono dei peccati e la misericordia di Dio. Ma questo modo di pensare non si chiama autogiustificazione? In cosa differisce dal modo in cui i Farisei vivevano l’osservanza alla Legge, che tanto indignava Gesù? E poi, tutto sommato, a che cosa ci servono tutte queste cose se poi il Giovedì Santo Gesù torna a lavarci i piedi? Non avremmo forse ragione a dire: “Gesù tu mi vuoi lavare i piedi perché sei buono e lo fai con tutti, ma a me non c’è bisogno perché io mi sono preparato a questo giorno con un sacco di digiuni, ho fatto due visite al santissimo in più al giorno, e ho anche rinunciato al caffè dando il corrispettivo alle missioni…” Ma Gesù, come a Pietro ci risponde: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. È come se dicesse, bravo, se ti piace continua a farlo, se ci hai trovato beneficio per te. Ma non pensare che siano essi a salvarti, non ti puoi salvare da solo, nel mio Regno non c’è posto per quelli che si credono salvatori di se stessi e degli altri, e che illudono se stessi e gli altri smerciando una grazia che si può comperare con le buone azioni. E allora a cosa servono tutte queste penitenze, se al Signore non servono? Servono a noi. Servono a noi per imparare ad essere essenziali e veri, servono a buttare via tutto il ciarpame che accumuliamo nel nostro cuore, con le nostre abitudini e tradizioni; servono a mettere ordine, ed avere così uno spazio vitale dove poterci incontrare con il Signore.  Certamente da sole non servono a niente soprattutto se non vengono accompagnate da cambiamenti reali della nostra vita. Abbiamo una cartina al tornasole infallibile che ci dice se la penitenza che facciamo è davvero utile al nostro progresso di fede o è solo apparenza e ipocrisia. Basta farsi delle domande chiare: siamo più pronti a perdonare e a fare la pace? invece di puntare il dito sugli altri iniziamo a riconoscere umilmente le nostre responsabilità in ordine al male che c’è nell’ambiente in cui viviamo? il digiuno oltre che con il cibo lo facciamo con le parole soprattutto quelle cattive e maligne? l’elemosina la facciamo non solo dei soldi ma anche del tempo da regalare alle persone in difficoltà? So regalare al Signore –e dunque in ultima analisi a me stesso- un tempo disteso e prolungato alla preghiera o mi accontento di dire le preghiere? Invece di vedere il male che c’è e che tutti possono vedere, imparo a raffinare i miei occhi per scorgere il bene che non si vede? E se alla fine della quaresima, alla Lavanda dei piedi, ci potremo percepire un po’ differenti e cambiati, non sarà perché siamo stati più osservanti nelle penitenze quaresimali, ma perché abbiamo creato sufficiente ordine ed essenzialità nella nostra vita per permettere a Gesù di amarci. E sarà forte allora il bisogno di dire a Gesù: “Gesù lavami i piedi, e non solo i piedi ma “anche le mani e il capo”, profumami con la tua santa presenza, inebriami con il tuo sangue, fammi nascondere nelle tue piaghe benedette e gloriose quando mi sento triste e solo, quando più forte è la tentazione di tradirti con i miei peccati”. Affidiamo al Signore il desiderio di bene che è presente in ciascuno di noi e gli chiediamo che sia Lui a portarlo a compimento. Amen. 

 

+ Giovanni Checchinato

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