San Francesco di Paola e la sua eredità

“Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”. Facciamo nostra questa parola di Gesù nel giorno in cui facciamo memoria del grande Francesco di Paola, nostro patrono. La facciamo nostra perché riconosciamo in questa lode una sintesi mirabile del vangelo di Gesù. Quanto viene affermato da Gesù appartiene a quella dimensione particolare del Vangelo che corrisponde al paradosso cristiano, tratto distintivo della incarnazione e che Francesco di Paola ha vissuto in maniera originale e particolarissima. Anche Francesco di Paola infatti fu piccolo, anzi, un minimo. Per sua scelta, certamente, ma anche guidato dallo Spirito santo di Dio da cui si faceva guidare nelle sue scelte e nel suo percorso di vita.

La prima vocazione di san Francesco è eremitica. La Calabria, ricca di monti e di anfratti fra le rocce, ne ha sempre avuti. Sono uomini che non fuggono la storia, ma le cercano un senso, nel duplice valore della parola e cioè significato e direzione. Il nostro tempo, così estroverso, fatica a cogliere la preziosità della vita interiore come occasione per incontrare Dio e il prossimo, ma occasione preziosa anche per chi cerca la stessa verità. Nella sua visita a Paola -correva l’anno 1984- san Giovanni Paolo II ebbe a dire proprio qui: “Francesco di Paola, visse lontano dai libri ma vicino a Dio: egli fu davvero uno di quei “piccoli” che Dio introduce alla conoscenza delle sue “cose nascoste”. Francesco di Paola non fu certo un dotto, e tuttavia egli conobbe a perfezione la scienza dei santi e seppe penetrare nei cuori più e meglio di quei dotti teologi, che non di rado ricorrevano a lui per avere risposte chiarificatrici nei loro dubbi e nelle loro perplessità. Lui “piccolo”, anzi “minimo” come amò qualificare sé e i suoi figli, meritò di essere maestro dei “grandi” della terra, e ciò grazie alla luce che Dio riversava nella sua anima, assetata di lui.”

La scienza appresa dalla prossimità -cuore a cuore- con il Signore non può essere tenuta solo per se stessi, né diventare oggetto di autocompiacimento sterile; porta invece con sé l’insopprimibile esigenza di rivelarsi, di diventare seme che feconda la storia. Di san Francesco è scritto che solo la domenica scendeva in centro per assistere alla santa Messa e, come tutti gli altri a quel tempo, volentieri si fermava tra residenti e avventori. È così che veniva man mano conosciuto e “scoperto” emergendo in qualche maniera dal sottosuolo. Il racconto della vita che gli faceva la gente, quella normale, senza blasonature di sorta, tentata di rassegnazione davanti alla storia che vedeva -come sempre- i poveri messi sullo sfondo, certamente non lo lasciava indifferente. Inizia qui il suo interessamento alle storie dei più poveri e il suo riferirsi epistolare a potenti e possidenti del tempo per perorare cause di giustizia e di perequazione, cominciando così a coniugare cielo e terra. È uomo di preghiera e proprio per questo diventa sempre più uomo di ascolto. La strada del suo eremo comincia ad essere battuta da bisognosi che chiedono a lui intercessione presso Dio e presso gli uomini. Francesco ascolta, Tutti. Invece di conservare il proprio recinto sacro, sceglie la strada della contaminazione. Accetta di contaminare la propria preghiera purissima con le bestemmie di coloro che non riuscivano a mantenere la famiglia a causa della mancanza del lavoro, per l’oppressione del potente di turno, accetta di contaminare il silenzio e la pace del proprio spazio fra le montagne con le beghe degli uomini del suo tempo. Riscrivendo così, con la sua vita, il mistero dell’incarnazione. E proprio grazie alla delicatezza sviluppata nello stare cuore a cuore col Signore, conforta, cura, asciuga lacrime e chiede a tutti di avere fede in Dio, di amare la pace. Ed egli stesso sostiene nel cammino di riconciliazione uomini e donne – che ieri come oggi – troppo spesso amano litigare. Francesco coltiva la terra e costruisce conventi. Ama la natura e conosce bene i suoi doni.

Guardato nel suo tempo e nella storia della Chiesa, Francesco è classificabile come un riformatore radicale. Anche su questo versante manifesta la sua originalità e la concretezza della sua opera ponendosi dentro al cammino di riforma radicale dal di dentro, non dall’esterno. Supera la tentazione di cui tante volte ci parla papa Francesco quando ci mette in guardia dal rischio che corriamo di voler risolvere i problemi del mondo dal balcone della nostra vita. La riforma del mondo e della chiesa può essere vera solo se parte da noi, se ci vede protagonisti prima che suggeritori, se ci vede capaci di condividere fino in fondo un progetto, partendo da noi. La riforma parte dal nostro cuore, da casa nostra! Francesco di Paola lo sapeva bene ed è così che, davanti al lusso e allo spreco, ritiene debba farsi -a partire da casa sua- esperienza di sobrietà radicale fino al punto di non toccare denaro. Chissà cosa direbbe a noi che davanti alla fame che cresce anche alle nostre latitudini siamo così sciuponi. Qualche dato per non essere generici: con l’invenduto quotidiano di dieci panettieri si possono ottenere 80-100 kg di pane, che potrebbero soddisfare le necessità di 600 persone; buttiamo il 18% del pane e il 36% dei prodotti freschi che acquistiamo. Davanti alla tentazione di pensare che tutto ciò che viene prodotto sia solo a disposizione nostra, Francesco estende il rigore quaresimale a tutto l’anno. Non predica per gli altri: lui e i suoi fratelli lo fanno! Davanti alla crisi del clero e della vita religiosa sollecita un grande rispetto per i sacerdoti e invita tutti alla preghiera intensa per ottenere il dono di chi spezzi il pane della parola e dell’eucaristia; davanti alle liti del tempo, alla vita che veniva violentata e banalizzata con spargimenti di sangue e inimicizie invita alla riconciliazione e alla penitenza; davanti al denaro e al potere diventati idoli attrattivi ma mortiferi sollecita il rigore morale richiesto dal Vangelo e ricorda la distribuzione universale dei beni per le donne e gli uomini di ogni latitudine e longitudine.

Francesco è ancora un liberatore perché sceglie di indicare, attraverso la traversata con il mantello, che l’accoglienza, le relazioni e gli incontri sono più importanti di ogni logica di interesse o profitto. Francesco di Paola piange per la logica di tutt’altro segno che caratterizza le scelte politiche dei nostri governi europei che hanno determinato la morte di oltre 28.000 migranti e rifugiati che hanno perso la vita nel Mediterraneo dal 2013 ad oggi, oltre 22.300 dei quali lungo la rotta del Mediterraneo centrale.

Francesco di Paola è conosciuto anche come il santo taumaturgo. Ma far passare San Francesco così -come troppo a lungo passa-, come colui che risolve lui i problemi di cui non vogliamo occuparci noi, è offrire una caricatura della sua opera. In realtà Francesco non ha avuto paura di mettersi in gioco sfidando i potenti del tempo perché non spacciassero per benevolenza ciò che era dovuto al popolo per giustizia. E così, se da una parte invitava a rendere a ciascuno il suo, superando le logiche che fanno tanto comodo alle mafie di ogni spazio e ogni tempo, dall’altra stimolava i suoi contemporanei a rendersi responsabili della propria storia, senza delegare ad altri quanto è richiesto ad ogni singolo cittadino. È facile parlare di come vanno le cose con i compari di turno, è più costruttivo mettersi in gioco, sapendo che la storia del futuro nostro e delle nuove generazioni dipende anche da queste mie scelte. San Francesco avrebbe qualcosa da suggerirci di fronte alle situazioni sociali del nostro tempo! Abbiamo tanto da imparare dal nostro santo paolano che ci fa dire con motivato orgoglio: “u quatt magg ama sta tutt a Paola!” Concludo con l’augurio che ci lasciava san Giovanni Paolo II nella sua visita a Paola nel 1984.

“Sappiate incarnare in voi le virtù che hanno reso grande san Francesco, in modo che con forza possiate debellare il male sociale, che agli occhi di molti talvolta oscura l’immagine di questa laboriosa regione. Se saprete essere tra voi aperti e sinceri, se avrete il coraggio di cancellare l’omertà, che lega tante persone in una sorta di squallida complicità dettata dalla paura, allora miglioreranno i rapporti tra le famiglie, sarà spezzata la tragica catena di vendette, tornerà a fiorire la convivenza serena, e questa generosa terra apparirà, quale essa è, la terra di san Francesco, la terra in cui fiorisce la carità e il perdono.”

 

+ Giovanni Checchinato

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