Prendete e mangiate; prendete e bevete!

Corpus Domini

Quando andiamo a messa il celebrante, presentando l’ostia e il calice ci dice: beati gli invitati alla cena del Signore. E il gesto corrispondente che compiamo è quello di avvicinarci all’altare, mettendoci in processione, ricordando che siamo il popolo di Dio che cammina, e ci nutriamo di quel minuscolo pezzo di pane che ci viene offerto. La beatitudine della vita corrisponde all’invito a nutrirsi delle due mense che il Signore apparecchia per noi in ogni celebrazione, quella della Sua Parola e quella del Suo Corpo e del Suo Sangue. È interessante questa connessione fra il mangiare e il credere, per tutte le ricadute umane e bibliche che la semplice operazione del mangiare comporta. 

Mangiare è conoscere; mangiare è stato il primo modo di conoscere la vita fuori di noi, il primo modo di relazionarci con coloro che si prendevano cura di noi. Del resto mangiare significa mettere dentro di noi qualcosa che sta fuori di noi e permettergli di diventare parte di noi. E anche il modo con cui mangiamo e quello che mangiamo dice qualcosa di noi e della nostra identità più profonda. 

Mangiare è entrare in relazione; un tempo, il nostro, così affaticato nelle relazioni interpersonali, ci mostra la drammatica realtà di una relazione difficile con il cibo e con le bevande, con una ricerca spasmodica di questi elementi o con un rifiuto categorico del cibo che ci porta fino a morire. Essere veri nelle relazioni interpersonali ci conduce a modellare la nostra relazione con il cibo in maniera corrispondente. Non aveva del tutto torto chi affermava, due secoli fa, che l’uomo è “ciò che mangia”. 

Mangiare significa desiderio di condivisione; mangiare insieme infatti indica, soprattutto nel nostro sud e nel sud del mondo in genere, una comunione forte fra coloro che ti accolgono a casa propria per mangiare qualcosa insieme, per perdere tempo con te… superando la logica di chi si percepisce solo consumatore di cibo da divorare il più velocemente possibile, da solo, per poi tornare alle proprie attività. 

Preparare da mangiare significa volersi prendere cura; è bello sentirsi dire dalle persone care che ci accolgono dopo una assenza da casa o dopo un viaggio: “Hai mangiato?” “Ti preparo qualcosa?” Prendersi cura degli altri e del loro bisogno di cibo è una attenzione propriamente materna, ma presente ugualmente in ogni adulto che sa accogliere gli altri come sorelle e fratelli. 

Anche il testo sacro non è indifferente alla dimensione del cibo e ce ne descrive le caratteristiche: Dio invita Adamo ed Eva a nutrirsi di tutti i frutti degli alberi, eccetto che di quello che sta nel mezzo del giardino, insegnandoci che ci sono cibi che fanno bene e cibi che fanno male. E Gesù nell’ultima cena invita i discepoli a prendere e mangiare degli azzimi rituali della cena pasquale ebraica, segno e memoriale della donazione totale della sua vita. Un cibo dato come dono gratuito, segno di un dono infinitamente più grande, la stessa vita del Maestro. Chi mangia del pane eucaristico, mangia Cristo, e mangiare Cristo vuol dire nutrirsi di lui, vuol dire che lui solo rappresenta la risposta alla nostra fame più profonda, vuol dire riconoscere che solo lui e il suo Vangelo possono dare un senso alla nostra vita di cristiani. Vuol dire che, pur riconoscendo la bontà di tante cose di cui ci nutriamo, intimamente sentiamo che solo il Signore è capace di dare la risposta adeguata ai nostri bisogni più profondi. E che dalla intimità di incontro con lui, che scaturisce dalla eucaristia, diventiamo persone nuove, rinnovate dalla sua stessa vita divina che ci fa dire con l’Apostolo Paolo: “non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.” (Gal 2,20) 

Mangiare l’eucaristia è dunque conoscere Gesù, è entrare in relazione con lui, è aprirsi alla condivisione; e ascoltare il suo invito: Prendete, mangiate, prendete, bevete è fare esperienza della sua tenerezza che si vuol prendere cura di noi. Tutte le volte che facciamo la comunione, in maniera più o meno consapevole, più o meno evidente mettiamo in atto tutte queste realtà umane e bibliche che abbiamo elencato. Ci cibiamo di chi è stato parola di pace, di condivisione, di amore, di perdono. 

Che bello quando diventiamo comunità eucaristiche aperte alla presenza di tutti, in attenzione costante del bene –tanto- che è presente e meno affannate per il male che divide. E che tristezza invece quando le nostre comunità cristiane sono divise, segno eloquente di una eucaristia tradita! Più preoccupati di salvare noi stessi, le nostre appartenenze parziali, il nostro pensiero … relegando progressivamente il Vangelo di Gesù sullo sfondo, quasi a decorazione inutile del proscenio occupato da noi. 

Che bello quando le nostre comunità sono l’esperienza qui sulla terra di relazioni nuove, capaci di generare empatia ed accoglienza, in cui il giudizio negativo e svalutante nei confronti degli altri è bandito, in cui ognuno gareggia nello stimare l’altro più grande lui! Che tristezza invece quando le nostre comunità sono affannate dalle chiacchiere e dal pettegolezzo; ce lo ricorda sempre papa Francesco e lo ha fatto anche ultimamente in occasione dell’Angelus: “Pensiamo: io sono discepolo dell’amore di Gesù o un discepolo del chiacchiericcio che divide, divide? Il chiacchiericcio è un’arma letale, uccide, uccide l’amore, uccide la società, uccide la fratellanza. Chiediamoci: io sono una persona che divide o una persona che condivide?” Lo stile che ci insegna l’Eucaristia ci porta a chiamarci beati e fratelli. 

Che salvezza per la chiesa e per la storia quando, grazie alla eucaristia di cui ci nutriamo, anche l’ostilità presente nel mondo diventa occasione di una parola nuova detta da noi cristiani, una parola capace di superare vendetta, odio e rancore, che ci permette di diventare davvero sale che dà sapore, luce che illumina il buio.  Che tristezza invece quando l’eucaristia che ricevo non trasforma le inevitabili fatiche che porto dentro in occasioni preziose per crescere, ricordando a me stesso che quello che Gesù mi ha offerto, la sua vita l’ha pagato a caro prezzo…  

Che bello quando anche la comunità cristiana, unita dall’eucaristia, e a imitazione di Gesù amico dei poveri, fa diventare l’attenzione per gli ultimi prioritaria nella sua vita, e si fa carico di sostenere quanti sono affaticati e bisognosi del nostro sostegno! Che tristezza quando le nostre risorse sono sciupate per tante cose di cui potremmo fare a meno, e dimentichiamo che quanto il Signore con la sua Provvidenza ci dona, lo abbiamo per condividerlo! Ci ricordava san Bernardo in uno dei suoi discorsi: “Il nostro capo (il Cristo) si presenta a noi non come è ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati. Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo”.

Grazie Signore Gesù, che continui a prendere su di te i nostri peccati e le nostre meschinità umane, senza giudicarci, ma rivolgendoti a noi con quella sovrabbondanza d’amore gratuito di cui solo tu sei capace.  Grazie perché continui, nonostante le nostre contro testimonianze a fidarti di noi e ad offrirti pane vivo per la nostra vita. Grazie perché rappresenti l’unico punto di riferimento per coloro che sono considerati gli ultimi nel mondo, e sei così la forza che alimenta la loro speranza. Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. Amen.

 

+ Giovanni Checchinato

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