“Va e comportati allo stesso modo”

Celebrazione ecumenica

Chiesa Valdese di Dipignano (Cs)

L’ascolto del Vangelo ci invita sempre alla conversione del cuore e della mente, in ogni situazione di vita, in ogni contesto del nostro vivere ed operare, e questa sera, nel nostro pregare insieme nel contesto della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” siamo invitati a chiedere il dono dell’unità fra di noi che ci riconosciamo chiamati dall’unico vangelo del Signore ad essere sale e lievito della terra. Spesso siamo portati a pensare l’unità come uno strumento con cui si fa forza, come dice anche la saggezza popolare “l’unione fa la forza”, eppure la vocazione che riceviamo come chiesa è quella di diventare sale e lievito, elementi che esprimono pienamente il loro servizio e la loro identità solamente nella misura del loro perdersi nelle pietanze che insaporiscono o nel pane che fanno lievitare. Chiamati dunque ad essere “uno” per diventare ancora di più “uno” col Maestro che continua a invitarci ad andare dietro di lui, a farci suoi discepoli, seguendo l’insegnamento della sua Parola e della sua testimonianza. Fra testi che ci sono stati proposti per la nostra preghiera stasera c’è la singolare pagina del Vangelo di Luca conosciuta come la parabola del buon samaritano, e che fra i Vangeli canonici solo Luca ci offre. Possiamo offrire l’ascolto della nostra mente all’insegnamento evangelico, ma abbiamo bisogno di farlo anche con il cuore e con tutti i nostri sensi di fronte a questa pagina così bella e così evocativa. Una modalità con cui possiamo percorrere questo ascolto e approfondimento è cogliere l’atteggiamento del Samaritano nei confronti della malcapitata vittima dei briganti, valorizzando ogni singolo verbo che l’evangelista usa per definire le azioni del protagonista. Essere in viaggio, passare accanto, vedere, avere compassione, andare vicino, versare olio e vino sulle ferite, fasciare le ferite. Caricare sull’asino il malcapitato, portarlo ad una locanda, fare tutto il possibile per aiutarlo; tirare fuori due monete d’argento, dare al padrone dell’albergo perché si prenda cura della vittima, offrire la disponibilità a pagare di più se necessario, ritornare alla locanda. C’è uno stile di attenzione e di cura che non smette di stupirci e meravigliarci perché è dettato dalla assoluta gratuità, quella dimensione che caratterizza Dio e la sua opera. Attenzione e cura a chi è sulla strada: per il samaritano era il malcapitato, vittima dei briganti, per ognuno di noi la sorella o il fratello che il Signore ci fa trovare accanto sulla strada della nostra vita, che ha bisogno di attenzione della nostra attenzione e cura. Due competenze che ci sfuggono talvolta, occupati come siamo in questo tempo frenetico a produrre qualcosa che la mentalità mondana ci chiede per poterci sentire vivi, quasi come se fossimo noi a salvare il mondo, con le nostre azioni, con le nostre strategie, con le nostre presunte buone azioni… Per poter esercitare attenzione nei confronti della storia abbiamo bisogno di riconoscerci tempo, quel tempo che è dono di Dio, il tempo della storia che stiamo vivendo e che purtroppo è diventato una sorta di idolo da cui ci sentiamo dominati e ritmati nella nostra vita. L’invito della testimonianza evangelica si può realizzare scegliendo di mettere ordine nella nostra vita, di chiamare le cose con il loro nome, di riconoscerci creature che possono prendersi cura degli altri prendendosi cura di loro stesse, riconoscendosi tempo e competenze come dono dall’alto, da utilizzare per diventare ed essere sempre di più dono gli uni per gli altri. E se l’attenzione è il primo step da attivare nella nostra vita, il secondo è la cura, una cura che prende il via dalla situazione contingente di chi cammina sulle strade della vita come me, diventando per lui prossimo. Scriveva D. Bonhoeffer nel suo testo “Vita Comune”: “parliamo del servizio che consiste nel sostegno dell’altro. «Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete perfettamente la legge del Cristo» (Gal 6,2). Quindi la legge di Cristo è una legge del ‘portare’. Portare è sopportare. Il fratello è un peso per il cristiano, anzi lo è particolarmente per il cristiano. Per il pagano l’altro non costituisce affatto un peso, dato che non lo riguarda minimamente; ma il cristiano deve portare il peso del fratello. Deve sopportare il fratello, e solo in quanto è percepito come un peso, l’altro è veramente un fratello e non un oggetto da dominare. Il peso dell’uomo è stato così pesante anche per lo stesso Dio, che ha dovuto soccombervi sulla croce. Dio ha veramente sopportato gli uomini fino all’estrema sofferenza nel corpo di Gesù Cristo. E in tal modo li ha portati come una madre porta il bambino, come un pastore porta l’agnello che si era smarrito. Dio si è fatto carico degli uomini, ed essi lo hanno piegato sotto il loro peso, ma Dio è rimasto con loro ed essi con lui. Nel sopportare gli uomini, Dio ha stabilito una comunione con loro. E la legge di Cristo, compiuta sulla croce. A questa legge i cristiani hanno la possibilità di partecipare. Devono portare e sopportare il fratello, ma la cosa più importante è che ora possono portarlo nell’ubbidienza alla legge adempiuta da Cristo.”

Vogliamo chiedere al Signore con questa nostra preghiera il dono dell’attenzione e della cura gli uni nei confronti degli altri, senza valutazioni previe o pregiudizi, sostenuti solo dalla consapevolezza della nostra comune vocazione alla sequela del Maestro e dal suo invito con cui si è concluso il testo evangelico ascoltato: “Va e comportati allo stesso modo”. 

+ Giovanni Checchinato

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