Luce ed elementi di tenebre, esultanza e preoccupazione, stupore e timore

Candelora 2024

La festa della presentazione al Tempio di Gesù mescola elementi di luce ed elementi di tenebre, esultanza e preoccupazione, stupore e timore. Ci sono tutti quelli elencati e anche altri in questa pagina del Vangelo di Luca e noi li accogliamo nel nostro cuore perché ci parlino, perché portino luce al nostro cammino come lampada che arte e risplende. Possiamo anche contemplare i personaggi che affollano questa scena evangelica perché siano loro a farci scuola con le loro parole, con i loro silenzi, con le loro scelte. 

Immagino questo avvenimento lontano dai riflettori, dalle attenzioni riservate ai personaggi pubblici e famosi (Maria e Giuseppe si presentano con l’offerta minima prevista dai tariffari del Tempio), un avvenimento consumato nel silenzio, anche se in mezzo all’andare e venire della gente che affollava i sacri spazi. Giuseppe e Maria vanno ad offrire Gesù nei giorni della loro purificazione, così almeno ci dice l’evangelista Luca, nonostante non fosse prevista nessuna purificazione per Giuseppe; vanno comunque a dire grazie per il dono della vita, segno della tenerezza di Dio e miracolo della sua bontà. Sempre. Il tempio è affollato da tanti fedeli e devoti, ma lo sguardo di un uomo è attratto da questo bambino portato in braccio dai genitori: un bambino come tutti, senza segni particolari, eppure un bambino differente, altro. Si rinnova al tempio quanto era già avvenuto a Betlemme con i pastori: “I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.” Che cosa avevano visto se non un bambino appena nato, adagiato in una mangiatoia? Eppure questo incontro li stimola a lodare e glorificare Dio. Perché i pastori fanno questa esperienza di gioia piena, perché Simeone e Anna sanno riconoscere Gesù come il Messia, la luce di rivelazione alle genti e gloria di Israele? Perché il loro cuore è abitato dal desiderio. Ci dice papa Francesco: “Desiderare significa tenere vivo il fuoco che arde dentro di noi e ci spinge a cercare oltre l’immediato, oltre il visibile. Desiderare è accogliere la vita come un mistero che ci supera, come una fessura sempre aperta che invita a guardare oltre, perché la vita non è “tutta qui”, è anche “altrove” (…) Possiamo dire, senza esagerare, che noi siamo ciò che desideriamo. Perché sono i desideri ad allargare il nostro sguardo e a spingere la vita oltre: oltre le barriere dell’abitudine, oltre una vita appiattita sul consumo, oltre una fede ripetitiva e stanca, oltre la paura di metterci in gioco, di impegnarci per gli altri e per il bene. «La nostra vita – diceva Sant’Agostino – è una ginnastica del desiderio» (Trattati sulla prima Lettera di Giovanni, IV, 6.) L’incontro con il Signore apre alla gioia il cuore di Simeone, uomo giusto e pio, che ha da sempre desiderato conoscere il Signore, che ha fatto sue le parole del Salmo 17: “Ma io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine”; proprio per questo incontro che porta a pienezza il suo desiderio, diventa profeta rivelando tre dimensioni di colui che tiene fra le sue braccia: il Messia è caduta, segno di contraddizione e risurrezione. 

Il Messia è “caduta” perché mette in ridicolo e fa miseramente cadere tutte le pretese di costringerlo dentro ai nostri schemi, alle nostre cornici, ai tentativi di normalizzare o rendere innocuo il potenziale esplosivo del suo Vangelo. Nella Lumen fidei, ci viene ricordata l’immagine biblica del popolo che, mentre Mosè parla con Dio sul Sinai, non sopporta il mistero del Dio nascosto, non sopporta il tempo d’attesa, e crea un dio – un idolo – a proprio uso e consumo. L’idolo annulla la distanza con una fusione che vuole manipolare Dio. Proprio quando anche noi con le nostre forze compiamo queste operazioni, il Signore mostra di trovarsi altrove. Scriveva David Maria Turoldo: “Cristo, mia dolce rovina, gioia e tormento insieme tu sei. Impossibile amarti impunemente, dolce rovina, Cristo, che rovini in me tutto ciò che non è amore. Impossibile amarti senza pagarne il prezzo in moneta di vita. Impossibile amarti e non cambiare vita e non gettare dalle braccia il vuoto e non accrescere gli orizzonti che respiriamo.” 

Il bambino che è fra le braccia di Simeone è -ancora- segno di contraddizione: o con lui o contro di lui. Questo bambino sarà estremamente esigente, non accetterà compromessi: la cupidigia del denaro che rende potenti e orgogliosi, o la scelta di Dio che rende semplici e umili di cuore; la vendetta o il perdono; il dominio e la sopraffazione o il servizio e il dono d’amore. Accettare il Cristo nella propria vita senza accogliere e fare proprie le esigenze del suo insegnamento significa sperimentare la divisione interiore, una schizofrenia fra appartenenza religiosa da una parte e fedeltà evangelica dall’altra. Unica possibilità è allora abbandonarsi alla logica dell’amore che Gesù ci testimonia e ci insegna con la sua vita, fino alla fine. 

Ma Gesù è anche segno di risurrezione: per lui nessuno è dato per perduto, nessuno finito per sempre, è possibile ricominciare ed essere nuovi. Gesù è la mano che ti alza, ti sostiene, che ti accompagna e ti prende per mano, che ripeterà a ogni alba ciò che ha detto alla figlia di Giairo: talità kum, bambina alzati! Giovane vita, alzati, levati, sorgi, risplendi, riprendi la strada e la lotta. 

Chiediamo il dono della luce -simboleggiata in maniera così potente in questa celebrazione- perché illumini il nostro cuore, faccia emergere il nostro desiderio di assoluto, di pace, di gioia, metta in evidenza le sue contraddizioni e capace nel contempo di indicare prospettive ulteriori, sentieri inesplorati che il Signore desidera percorrere con noi perché il Suo Regno si compia, qui e ora, secondo la sua Volontà. Amen!

+ Giovanni Checchinato