Abbiamo sempre bisogno di dire grazie a Dio, perché tutto quanto siamo e viviamo è dono suo. Ma ci sono giorni in cui questo bisogno è prorompente ed è difficile da contenere e oggi è uno di quei giorni. Non sfugge a nessuno la bellezza della connessione fra la giornata missionaria mondiale e l’ordinazione presbiterale di Francesco, Daniele e Fausto, bellezza che proviene dalla realizzazione -qui e ora- di quanto pregheremo nella solenne preghiera di consacrazione: “Ora, o Signore, vieni in aiuto alla nostra debolezza e donaci questi collaboratori di cui abbiamo bisogno per l’esercizio del sacerdozio apostolico… Siano degni cooperatori dell’ordine episcopale, perché la parola del Vangelo mediante la loro predicazione, con la grazia della Spirito Santo, fruttifichi nel cuore degli uomini, e raggiunga i confini della terra.” Il Signore che chiama vince la sordità delle nostre orecchie e la durezza del nostro cuore se noi ci offriamo servi alla sua Parola e ci trasforma in annunciatori della sua Parola, di lui, che è la Parola del Padre per la nostra realizzazione piena. Servi della Parola per essere strumenti del regno di Dio che viene, questo l’obiettivo della sequela, e non solo per i sacerdoti, ma per tutti. Chiediamo al Signore di saper scorgere i segni della sua presenza nel cuore delle donne e degli uomini del nostro tempo e diventare capaci di “andare e invitare al banchetto tutti (cfr. Mt 22, 9)” come ci ricorda il tema della giornata missionaria mondiale di quest’anno.
La pericope evangelica di oggi ci costringe a metterci in discernimento grazie a una parola forte di Gesù, originata da una richiesta di Giacomo e Giovanni. Richiesta che si riferisce al potere, una delle passioni madre che sta nel cuore di tutti noi, un elemento che è funzionale al nostro vivere insieme se usato bene, ma che può essere devastante nella misura in cui non ne canalizziamo gli obiettivi. Del resto, Gesù stesso è passato per la tentazione del potere quando sul monte della quarantena ha sentito lo spirito del male che gli suggeriva di diventare una “superstar” ed ha vinto la tentazione fidandosi solo della sua relazione col Padre. Non c’è ambiente o tempo che non sia influenzato o tentato dal potere e assumere la parola che Gesù ci offre oggi nel vangelo, può diventare il paradigma con cui verificare le scelte che facciamo sia personalmente che collettivamente, anche come chiesa.
“Tra voi però non è così” , e la prima reazione che sentiamo dentro è una sorta di imbarazzo di fronte a questo presente indicativo usato dall’evangelista Marco e messo sulle labbra di Gesù: il “non è così” si impone come un dato oggettivo, verificabile, ingombrante che prende il posto di un più accomodante congiuntivo usato da Luca quando scrive “tra voi però non sia così”. Un congiuntivo che ci salverebbe un po’ la faccia perché ci permette di sentire la parola di Gesù come invito, come esortazione e invece questo “tra voi però non è così” pesa come un macigno perché sappiamo che nella realtà siamo simili agli apostoli. Con la scusa di rendere comprensibile la Scrittura ci troviamo -magari inconsapevolmente- a manipolarla, a renderla a nostro uso e consumo, facendole perdere il potenziale infinitamente grande che possiede. Ed è così che l’invito ad assumere il servizio, da ultimi, come modello della nostra vita cristiana rischia di diventare solo un “modo di dire” che va reso meno naif con la nostra presunta sapienza umana.
“Tra voi però non è così” si mette come cifra delle nostre relazioni: facciamo fatica ad essere davvero noi stessi nei confronti degli altri, per convenienza, per timore reverenziale, per ignavia. Sempre meglio non mettersi contro nessuno, che potremmo aver bisogno di lui, sempre meglio essere compiacenti con quelli che comandano che potremmo fare brutta figura, sempre meglio farsi gli affari propri: frasi che abbiamo sentito o detto o pensato anche noi e che rivelano il nostro bisogno di tenere custodito e salvaguardato il nostro potere nei confronti degli altri. Quando siamo davvero liberi -perché tali ci ha resi il vangelo- non abbiamo più bisogno di custodire il territorio che abbiamo delimitato con il nostro potere, non sentiamo più la necessità di controllare tutto quello che gli altri possono fare o dire, ma diventiamo capaci di parresia, quel diritto/dovere di dire la verità, senza calcoli, senza interessi.
“Tra voi però con è così” si mette come cifra nel nostro essere Chiesa, capaci cioè di ricordarci gli uni gli altri quale sia il nostro posto nella storia: servitori e schiavi di tutti. Abbiamo bisogno di farci qualche domanda e compiere qualche azione corrispondente rispetto al modo con cui abbiamo vissuto questo comandamento di Gesù, quando abbiamo desiderato anche noi, come gli altri, i primi posti, pensando che chi sta al primo posto abbia più potere. Torniamo sempre lì, al bisogno di potere che emerge dal nostro cuore ancora non riconciliato del tutto col Vangelo, e al nostro bisogno di essere visti, applauditi, lodati come singoli o come chiesa. E così nonostante abbiamo fatto tanti discorsi sulla complessità del nostro mondo e sulla dimensione sempre più minoritaria della chiesa cattolica in Occidente, non perdiamo l’occasione per rivendicare che l’ultima parola è la nostra, e che è il mondo che deve sottomettersi a noi e non viceversa, che sono le nostre logiche che devono prevalere su quelle degli altri. Purtroppo non ci è estraneo il pensare che chi sta nella stanza dei bottoni valga di più di coloro che stanno nelle retrovie invisibili della storia a mettere il proprio frammento di Vangelo nelle pieghe nascoste della vita di ogni uomo e donna di questo mondo per offrire un barlume di luce a chi vive nel buio.
“Tra voi però non è così” è un invito alla gioia per tutte le volte che abbiamo fatto esperienza di guardare la storia non dall’alto verso il basso, pieni delle nostre certezze e delle nostre ricchezze, ma con gli occhi degli ultimi, a partire dalle loro prospettive e dai loro desideri. Guardare i poveri dall’alto ci fa ancora una volta sperimentare la narcosi del potere, del sentirci buoni perché facciamo l’elemosina, dell’essere i ricchi epuloni che consentono ai poveri di accontentarsi dei nostri avanzi, mentre invece guardare il mondo con gli occhi dei poveri ci permette qualcosa di più. Lo ricordava papa Francesco qualche tempo fa: “È bello allargare i sentieri della carità, sempre tenendo fisso lo sguardo sugli ultimi di ogni tempo. Allargare sì lo sguardo, ma partendo dagli occhi del povero che ho davanti. Lì si impara. Se noi non siamo capaci di guardare negli occhi i poveri, di guardarli negli occhi, di toccarli con un abbraccio, con la mano, non faremo nulla. È con i loro occhi che occorre guardare la realtà, perché guardando gli occhi dei poveri guardiamo la realtà in un modo differente da quello che viene nella nostra mentalità. La storia non si guarda dalla prospettiva dei vincenti, che la fanno apparire bella e perfetta, ma dalla prospettiva dei poveri, perché è la prospettiva di Gesù. Sono i poveri che mettono il dito nella piaga delle nostre contraddizioni e inquietano la nostra coscienza in modo salutare, invitandoci al cambiamento.”
Carissimi Francesco, Daniele, Fausto buon cammino a voi che ricevete con le parole di questo brano del Vangelo di Marco la cifra del vostro servizio sacerdotale. Ma buon cammino anche ad ognuno di noi, sorelle e fratelli, anche noi chiamati, ognuno col proprio carisma o ministero, ad essere pietra viva nella costruzione del Regno, perché davanti ad ogni scelta possiamo fare nostro questo invito di Gesù a sperimentare l’ebbrezza del Vangelo che pur scritto con parole umane è veicolo di “una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; ma di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria” (1 Cor 2, 6-7) A lui la gloria nei secoli dei secoli
29 domenica del Tempo Ordinario, 20 ottobre 2024 – Giornata Missionaria Mondiale