Omelia dell’Arcivescovo per la Santa Messa Crismale

La vita presbiterale: vocazione e dono sovrabbondante di Dio per noi

 

Messa crismale 2023

Nella Sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui

Conosciamo bene questo testo di Luca che ci ricorda l’inizio del ministero di Gesù in Galilea e il suo discorso “programmatico” che fa eco alla profezia di Isaia e che diventa esperienza viva in coloro che sono presenti nella Sinagoga. C’è un particolare che viene sottolineato dall’evangelista con somma attenzione e riguarda non tanto l’atto solenne che ha come protagonista Gesù, ma l’atteggiamento di coloro che ascoltano: gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Vogliamo fissare anche noi gli occhi sul Signore e contemplarlo con il cuore e con la mente, pronti a lasciarci guidare dalla potenza del suo Spirito che continua ad esercitare il ministero della misericordia di Dio nella storia del mondo. Tornare a guardare Gesù, tornare ad incontrarlo: questo è stato il desiderio che ha caratterizzato la vita di grandi credenti, rivoluzionari nella chiesa, capaci di portare una parola nuova alla situazione stagnante che sperimentavano attorno. Non possiamo nascondere che la tentazione del “fare” che caratterizza il pensiero e l’agire della cultura occidentale contemporanea, pone sotto la sua logica anche la chiesa in tutte le sue espressioni; e coloro che, all’interno della chiesa, sono chiamati ad assumere un ruolo istituzionale e visibile talora rendono presente questa tentazione con le scelte che compiono. La convinzione di aver bisogno di strategie umanamente significative per portare avanti quella porzione di chiesa che ci è affidata, la possibilità di avere accesso a più risorse economiche rispetto al passato, la consapevolezza di una credibilità pregiudiziale da parte della gente ci mettono in una condizione ottimale per un versante, ma anche di grande pericolo. La chiesa che siamo chiamati a costruire, infatti, non è opera delle nostre mani e la storia bimillenaria di questa istituzione voluta dal Signore Gesù ci dimostra che proprio dove più efficaci sono sembrate le strategie umane, proprio lì hanno mostrato tutta la loro verità le parole del Vangelo: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Le strategie che hanno dimenticato il Vangelo di Gesù che è Vangelo dei poveri e degli ultimi e hanno invece privilegiato le alleanze coi poteri forti di ogni tempo e di ogni dove hanno mostrato tutta la loro inefficacia e hanno reso la chiesa, sposa del Cristo meno bella e meno credibile. E anche la possibilità di avere più accesso a risorse economiche, che potrebbe essere grande opportunità, talvolta diventa tentazione alimentata dalla autoreferenzialità nella quale veniamo a trovarci. Tentazione sempre viva e presente nella chiesa, visto che anche il Salvatore del mondo ne ha dovuto sperimentare il peso all’inizio della sua missione pubblica. Tentazione che faceva dire a sant’Ilario di Poitier: “Ora combattiamo contro un nemico insidioso, un nemico che lusinga…, non ci flagella la schiena, ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni dandoci così la vita, ma ci arricchisce dandoci così la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci percuote ai fianchi, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro, l’onore, il potere”. La pervasività dei social e le situazioni critiche nella chiesa, affrontate spesso in maniera sommaria e forcaiola dai media, ci hanno resi più attenti a vivere in maniera inappuntabile la nostra vita esteriore, talora ci ha spinto a diventare eccezionali dal punto di vista dello zelo pastorale, ma non sempre questa attenzione è stata corrispondente alla cura della nostra vita interiore, al nostro rapporto personale con Gesù nella preghiera, nella intimità con lui, e nel realizzare la comunione con lui e con i fratelli con cui condividiamo un progetto d’amore, quello di portare il Vangelo di Gesù al mondo intero! Ricordava san Bernardo di Chiaravalle ai suoi monaci: «Il demonio teme poco coloro che digiunano, coloro che pregano anche di notte, coloro che sono casti, perché sa bene quanti di questi ne ha portato alla rovina. Ma coloro che sono concordi e che vivono nella casa di Dio, con un cuor solo, uniti a Dio e fra loro nell’amore, questi producono al demonio dolore, timore, rabbia. Questa unità della comunità non solo tormenta il nemico, ma anche attira la benevolenza di Dio”.

In questo giorno di festa siamo invitati a lodare il Signore per il dono della misericordia che si esprime attraverso i segni degli olii santi e del ministero presbiterale: l’olio che prepara il cuore ai catecumeni, l’olio che dona la misericordia e la guarigione ai malati, l’olio che consacra i cristiani come sacerdoti re e profeti e consacra alcuni a essere nel mondo il segno tangibile della tenerezza di Dio: tutti doni che vengono dall’alto e bypassano le nostre competenze e possibilità. Chi potrebbe riconoscersi la causa di un processo di conversione nel cuore di un catecumeno? Chi potrebbe arrogarsi il diritto di riconoscersi guaritore solo perché ha amministrato il sacramento dell’unzione o più importante degli altri solo perché ha potuto invocare lo Spirito di Dio su cresimandi, su sacerdoti o vescovi? Chi di noi presbiteri potrebbe dire solamente sua la scelta della vita presbiterale, che è invece vocazione e dono d’amore sovrabbondante di Dio per noi? Tutto è grazia, tutto è dono infinito che ci giunge dall’Alto. E di fronte a Gesù che continua a parlarci non possiamo non riconoscere, con un po’ di vergogna, tutti i tentativi maldestri di salvare gli altri e di salvare noi stessi con le nostre risorse umane. Abbiamo più che mai bisogno di tornare a lui, a immergere i nostri occhi nella profondità dei suoi occhi e ad arricchirci della sua povertà facendoci modellare dal suo ministero, dal suo essere servo nostro, per amore. Cosa significa essere annunciatori e testimoni di buone notizie, di liberazione per i poveri, gli oppressi e i prigionieri, essere araldi della misericordia del Signore nel nostro tempo? Significa ritornare prima di tutto a gustare la chiamata ricevuta, senza nostro merito, a diventare cristiani, a seguire il Signore più da vicino nella vita consacrata e ministeriale, a diventare testimoni dell’amore sponsale e fecondo di Dio nella chiesa e nella storia degli uomini. E per far questo abbiamo bisogno di imparare a fidarci di più di chi ci ha chiamato, di modellare di più la nostra vita sulla sua, di superare la tentazione superba di chi pensa di salvarsi e di salvare gli altri con la sapienza del mondo. La sapienza che viene dall’Alto ci invita ancora, nella parola e nella persona di Gesù, a diventare persone che sanno offrire speranza, che sanno accogliere gli altri perché fratelli e sorelle in Cristo, a costruire comunità in cui ci sia posto, sempre, per tutti. A costruire comunità aperte che facciano sentire il calore della casa a tutti, prima di tutto alle persone e alle comunità che ci vivono accanto, ma anche a tutti coloro per i quali, in questo frangente di storia rappresentiamo l’unico punto di riferimento capace di salvaguardare quell’ultimo frammento di umanità che ci è rimasto. Da soli non ne saremmo mai capaci: abbiamo bisogno dell’olio della grazia del Signore e del balsamo della vicinanza fraterna gli uni degli altri, ognuno con le sue risorse, ognuno con le sue fragilità; e l’olio e il balsamo ci trasformeranno in crisma vivente, “olio che consacra, olio che profuma, olio che risana le ferite e che illumina”.

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