Il testo dell’omelia di Mons. Francesco Nolè e il video della Celebrazione
Saluto cordialmente Mons. Salvatore Nunnari, mio predecessore, oggi impossibilitato ad essere presente fisicamente con noi.
Saluto tutti voi, carissimi fratelli e sorelle nel battesimo, nel sacerdozio e nella vita consacrata, in particolare le Monache di clausura di Paola, Scigliano, Rende, carissimi sacerdoti e fedeli che partecipate attraverso la TV e i mezzi di comunicazione: il Signore ci dia pace!
Il Vangelo di Luca che oggi ci ha ricordato quanto detto da Gesù nella sinagoga di Nazareth, al capitolo 24, termina così: “Poi li condusse fuori verso Betania e alzate le mani, li benedisse, si staccò da loro e fu portato verso il cielo, ed essi tornarono a Gerusalemme con grande gioia, e stavano sempre nel tempio, lodando Dio” (Lc 24, 50-52).
Perché Gesù porta gli Apostoli proprio verso BETANIA e non verso Betlemme, Nazareth o Cana?
Non solo perché sei giorni prima della Pasqua Egli era stato unto da Maria in vista della sua morte e sepoltura, ma anche perché vuole indicare agli Apostoli i segni e gli insegnamenti che vengono dalla casa e dalla famiglia di Betania.
Anzitutto il primato della preghiera nell’ascolto di Maria rispetto al tanto da fare di Marta e che spesso travolge anche noi, facendoci perdere la ‘parte migliore della vita’; poi la gioia dell’amicizia vera e condivisa, tanto che per intenerire il cuore di Gesù nei confronti del fratello, Maria e Marta gli mandano a dire : ‘ Signore, ecco, il tuo amico è malato ’. Gesù con gli Apostoli andò da loro, e quando gli dissero che era morto e sepolto da 4 giorni, scoppiò in pianto, racconta Giovanni, tanto da far dire ai Giudei: vedi come l’amava! Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro, dice ancora Giovanni.
L’amicizia vera non solo è consolazione e condivisione, profonda comunione e cammino insieme verso una meta alta, ma è capace anche di far ritornare in vita chi l’aveva perduta!
Ma Betania ricorda anche la gioia della vita familiare e l’accoglienza festosa che gli Apostoli avevano vissuto insieme in questa famiglia. Il Vangelo ci racconta di tre incontri, ma per essere amici, amati da Gesù, certamente avranno fatto molte soste di riposo e di condivisione della mensa, e sempre con un atteggiamento di ascolto della Parola, di insegnamenti che lasciavano il segno nei tre fratelli: la fede nella risurrezione, il primato della preghiera, l’atteggiamento verso Gesù e verso i poveri …. E così via.
La prima lettura di oggi, ripresa poi da Gesù stesso nel vangelo, ci riporta al giorno della nostra unzione che ci ha consacrati e inviati ad evangelizzare.
Anche noi, infatti, siamo stai unti, consacrati e inviati. Unti per ungere e santificare, rinvigorire e consolare; ecco il significato della benedizione dell’olio dei catecumeni e degli infermi.
Siamo stati unti per consacrare l’Eucaristia, ma anche la nostra vita e la vita dei nostri fratelli a Dio (significato del crisma);
Siamo stati unti e inviati ad annunciare il Vangelo, ma non da soli: ‘ io sarò con voi tutti i giorni’ e ancora: ‘essi allora partirono e predicavano dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro’.
Il Signore non ci lascia mai soli, opera sempre con noi, in maniera invisibile ma efficace.
Che grande onore e immensa responsabilità ci ha donato, scegliendo di rivelarsi al mondo attraverso le nostre povere persone e la nostra grande debolezza!
Ma Gesù vuole essere certo almeno della nostra retta intenzione e ci chiede, come a Pietro: “mi vuoi bene più di costoro?” Se la nostra risposta sarà come quella di Pietro, allora dirà anche a noi: “pasci le mie pecorelle”, costituendoci Pastori; ma se sarà no, oppure un “sì” solo con le labbra e non con la vita, allora Dio non potrà operare insieme a noi, e noi saremo solo mercenari e non veri pastori!
Essere pastori, ci ricorda papa Francesco, significa conoscere le proprie pecore e amarle tutte, anche quella smarrita (con il paradosso che oggi ci troviamo spesso con una sola pecorella nel recinto e le altre smarrite), ricominciando, senza mai scoraggiarci, a fare conoscenza con le pecore che il Signore ci ha affidato, utilizzando tutti i mezzi utili per raggiungerle ed annunziare loro la Parola.
L’unzione che abbiamo ricevuto il giorno della nostra consacrazione non può lasciarci statici e pigri nel ministero che ci è stato affidato, e ogni sera dobbiamo chiederci: “Signore quanto ti ho amato oggi, quante persone hanno amato te attraverso il mio ministero? Un fedele che mi incontra e mi osserva, può dire di me: costui è veramente Sacerdote del Signore? Una famiglia che mi invita a condividere la mensa, avverte la presenza ‘diversa’ di una persona che parla anche di Dio e non sparla dei fratelli, usando lingua e gesti consoni ad edificare la famiglia stessa?”.
Quando torno a casa stanco o annoiato, deluso o amareggiato, mi rifugio nella preghiera, nel riposo sereno e tranquillo, o mi faccio avvolgere dall’ombra oscura del maligno che mi porta ad indurire il cuore e a spegnere l’entusiasmo pastorale?
(A questo proposito vorrei citarvi un episodio che riguarda S. Bernardo e il suo novizio diventato papa, Eugenio III …..)
Dunque, carissimi fratelli e sorelle, osserviamo la nostra Regola di Vita che ci siamo dati, e non capovolgiamo i valori essenziali della nostra vocazione: la preghiera, l’adorazione, la meditazione e la passione per il Regno. Ma aggiungiamo anche il pensare e parlare bene dei Confratelli, senza invidia e gelosia; queste cose lasciamole al mondo: “tra voi non è così”, ci ricorda Gesù nel Vangelo!
Questo vale per chi vive da solo, ma anche per le fraternità sacerdotali: se la giornata non inizia con la preghiera, non prosegue con uno stile di vita sobrio, gioioso e accogliente, e non si conclude con la preghiera, il nostro lavoro non porterà frutti, perché non operiamo con il Signore!
Insieme ai Diaconi, all’Ordine delle vergini, delle Vedove, ai Religiosi, ai seminaristi, alle famiglie, accogliamo l’invito del Signore: “se ritornate a me, all’amore di un tempo, all’entusiasmo dell’inizio del vostro ministero e della vostra vocazione, io vi darò un cuore nuovo, un cuore di carne, capace di amare e di accogliere l’amore”.
Allora è certo che le nostre case, le nostre canoniche, le nostre Case Religiose, gli uffici pastorali e parrocchiali, la casa del Vescovo e gli ambienti di Curia profumeranno di nardo e di preghiera, di amicizia e di accoglienza, di vita bella e di gioia fraterna e non di altro! Ricordava un Confratello pochi giorni fa: se un prete non è felice della propria vocazione, è di peso a se stesso e alla Comunità ! E la nostra esperienza lo può confermare.
Anche quest’anno vogliamo ricordare e pregare per i nostri fratelli Defunti: don Francesco Frangella, don Giampiero Arabia, P. Pietro Giorno e P. Celeste Garrafa degli Ardorini e don Giulio Altomare; i Diaconi permanenti Scarpino Giuseppe, Serranò Giuliano e Giuseppe Oliva ma anche tutte le Religiose e i Religiosi che ci hanno lasciato quest’anno per raggiungere il Regno del Padre, in particolare le 10 suore della Congregazione Suore Minime della Passione, venute a mancare in questi ultimi mesi.
Ci sentiamo in comunione anche con tutti i Confratelli che hanno lasciato il ministero sacerdotale, perché ciascuno compia con fedeltà la missione che il Signore gli ha affidato.
I nostri Santi Protettori, figli prediletti della nostra terra: Francesco di Paola, i Protomartiri Francescani, i Santi Umile, Angelo, Ugolino, Nicola Saggio, i Beati Francesco Maria ed Elena Aiello, le Venerabili Miceli e De Vincenti, i Servi di Dio Gaetano Mauro, Gioacchino da Fiore e Arcangela Filippelli, ci accompagnino con la loro preghiera e la loro intercessione, nel cammino verso la santità
La Vergine Santa, pellegrina nelle nostre Parrocchie, ci sostenga nella recita quotidiana del Magnificat quotidiano, insieme a Giuseppe, suo Sposo verginale e padre amorevole di Gesù. AMEN.